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26-02-2022

Procacciatore d'affari senza contratto scritto

In questo articolo vedremo:

(1) se sia opportuno o meno stipulare un contratto scritto di procacciamento d’affari

(2) quali conseguenze ha la mancata stipulazione scritta del contratto di procacciamento.

Cercheremo quindi di rispondere a queste domande:

E’ utile stipulare il contratto di procacciamento per iscritto?

Quando il procacciamento è in conflitto con il contratto di agenzia?

L’agente monomandatario può assumere incarichi di procacciamento d’affari?

Cosa succede se il contratto di procacciamento non è stipulato per iscritto?

E’ utile stipulare il contratto di procacciamento per iscritto?

Nella pratica del commercio sono molte le spinte verso una completa deformalizzazione del rapporto procacciatore-preponente, affidato ad una mera intesa verbale piuttosto che a un contratto scritto.

Primo: spesso accade che il procacciatore sia anche agente di altro preponente e non abbia quindi interesse alla conclusione di un accordo scritto che possa essergli opposto quale preteso inadempimento al contratto di agenzia.

Secondo: è spesso il preponente ad avere interesse all’ambiguità che deriva dalla mancata formalizzazione scritta dell’accordo, preferendo riservarsi la negoziazione della misura della provvigione ad affare concluso.

Terzo: il preponente teme che la formalizzazione per iscritto del contratto possa condurre a riqualificazioni della relazione con il procacciatore in termini di agenzia, con i conseguenti maggiori oneri, sia contributivi che di applicazione della normativa inderogabile.

Un punto va da subito chiarito. Il procacciamento d’affari non può essere utilizzato per sottrarre un rapporto di agenzia al suo regolamento inderogabile. Come abbiamo già spiegato in questo altro articolo, la differenza fondamentale tra l’agenzia di commercio ed il procacciamento d’affari consiste nel fatto che l’agente di commercio è obbligato a promuovere gli affari del preponente entro la zona affidata, laddove, per contro, il procacciatore d’affari non assume alcun obbligo di questo tipo. Pertanto, se l’intenzione delle parti è quella di costituire un rapporto per cui il procacciatore sia obbligato a promuovere gli affari del preponente, questo rapporto sarà sempre un’agenzia commerciale, a prescindere dal nome che le parti gli abbiano attribuito. Dal punto di vista legale questo significa poi che al rapporto così costituito dovrà applicarsi tutta la normativa per l’agenzia di commercio, incluse le disposizioni sulla iscrizione previdenziale Enasarco e la normativa inderogabile del codice civile.

Pertanto, tutte le notazioni che seguono riguardano solo ed esclusivamente un genuino rapporto di procacciamento d’affari.

Proprio i descritti problemi di qualificazione, vale a dire la difficoltà di distinguere il contrato di procacciamento d’affari dalla contigua ed affine figura dell’agenzia di commercio consigliano, piuttosto che escludere, una conclusione scritta dell’accordo tra le parti in modo da lasciare il minore spazio possibile ad equivoci e fraintendimenti.

Sempre in questo senso, vale a dire per favorire la chiarezza e la trasparenza dei rapporti, il procacciatore avrà tutto l’interesse a formalizzare per iscritto la sua relazione con il preponente, al fine di evitare contestazioni sulla misura della provvigione, una volta che l’affare sia concluso. Può infatti accadere, ed infatti spesso accade, che le relazioni di procacciamento siano instaurate per affari speciali di portata economica anche considerevole. In questo caso, una volta che l’affare sia concluso, la mancanza di una determinazione scritta della misura della provvigione lascia ampio margine al preponente per tentare di rinegoziare, abbattere o addirittura non pagare la provvigione. Queste condotte sono infatti favorite dall’occasionalità del procacciamento d’affari che, non innestandosi su una relazione fiduciaria, può essere esposto a comportamenti opportunistici di una piuttosto che dell’altra parte.

Venendo poi alla questione se la mancanza di un accordo scritto di procacciamento d’affari possa giovare in qualche modo al procacciatore che sia contemporaneamente agente di altro preponente.

Anche in questo caso la discussione va subito sgomberata dall’equivoco: se instaurare una relazione di procacciamento costituisce inadempimento alle obbligazioni assunte per mezzo del contratto di agenzia, il fatto rimane illecito a prescindere dalla sua formalizzazione scritta o meno.

Pertanto le considerazioni che seguono sono da intendersi solo ed esclusivamente rivolte ai rapporti di procacciamento che non costituiscano violazione di pregresse obbligazioni assunte per mezzo del contratto di agenzia.

Il che pone peraltro il non trascurabile problema di capire quando un contratto di procacciamento d’affari possa intendersi in conflitto con le obbligazioni assunte con il contratto di agenzia.

Quando il procacciamento è in conflitto con il contratto di agenzia?

Innanzitutto occorre qui ricordare che il procacciamento d’affari è incompatibile con l’agenzia di commercio in alcuni casi, come spiegato in questo articolo. Per i casi in cui le due figure risultino compatibili, si possono offrire le seguenti considerazioni:

innanzitutto, certamente sarà lecito il procacciamento per gli affari che potrebbero costituire oggetto di un contratto di agenzia autonomo rispetto a quello che impegna l’agente e, quindi, per quegli affari che non si pongano in concorrenza con quelli trattati dal preponente nella stessa zona o per lo stesso ramo di attività.

Per contro, è da reputare comunque illecita la condotta dell’agente che assuma -anche occasionalmente- incarichi di procacciamento in concorrenza con il preponente, ciò più in relazione al carattere fiduciario del contratto di agenzia che all’interesse economico del preponente che, in astratto, potrebbe non essere leso dalla condotta dell’agente.

Va peraltro ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale che non ravvisa violazione di zona da parte del preponente che concluda “solo occasionalmente” affari nella zona affidata all’agente. Se dunque è l’occasionalità il tratto distintivo tra una interferenza lecita ed una illecita del preponente nella zona dell’agente, si dovrebbe poter concludere -per basilari ragioni di parità di trattamento- che sia vero anche l’inverso, che cioè una concorrenza occasionale dell’agente non dovrebbe costituire violazione del contratto di agenzia. E quindi, essendo l'occasionalità il tratto distintivo del procacciamento d’affari, si potrebbe argomentare nel senso che un procacciamento d’affari -purché genuino- sia sempre lecito e non violi il contratto di agenzia.

Questa conclusione, per quanto suggestiva, non ha sinora trovato riscontro in giurisprudenza, e pertanto non dovrebbe essere presa a base di decisioni operative, dovendosi preferire un approccio più prudente.

L’agente monomandatario può assumere incarichi di procacciamento d’affari?

Resta il problema dell’agente monomandatario. Potrà questi assumere incarichi di procacciamento, oppure questi saranno sempre e comunque da ritenere in violazione della clausola di monomandato, anche se astrattamente non in concorrenza?

Analogamente a quanto si deve ritenere per l’agente plurimandatario, gli affari in concorrenza entro la zona e per lo stesso ramo di attività oggetto del contratto di agenzia saranno comunque da ritenersi assunti in violazione di contratto. Conclusioni diverse, sebbene non sicure sul piano operativo, potrebbero raggiungersi per quelle relazioni di procacciamento che si collochino fuori dalla zona o dai prodotti o clienti affidati con il contratto di agenzia.

Come abbiamo già avuto occasione di rilevare in questo articolo, infatti, la clausola di monomandato, nella parte in cui proibisce all’agente di concludere contratti di agenzia fuori dal confine tracciato dal rapporto di concorrenzialità tra l’attuale preponente e gli altri imprenditori e, quindi, ad esempio, per prodotti totalmente estranei al contratto di agenzia, tutela l’interesse del preponente all’esclusività del rapporto con l’agente. Con la clausola di monomandato il preponente vuole cioè assicurarsi che l’agente occupi il suo intero potenziale di lavoro nella promozione dei propri affari. Ma se questo è vero, ben si potrebbe concludere nel senso che un contratto di procacciamento d’affari, visto che per sua natura è caratterizzato dalla mancata assunzione di un obbligo di promozione da parte del procacciatore, non violi minimamente l’interesse protetto dalla clausola di monomandato. In questo senso, è possibile ritenere che anche all’agente monomandatario sia consentito di assumere incarichi di procacciamento d’affari, purché per zona, prodotti e clienti totalmente estranei al contratto di agenzia e facendo comunque avviso che si tratta di una conclusione non direttamente confortata dalla giurisprudenza. L’eventuale decisione andrebbe pertanto valutata con attenzione, anche in relazione ai riflessi che un eventuale inadempimento contestato dal preponente per violazione della clausola di monomandato potrebbe avere sul contratto di agenzia.

Alla fine di questa breve disamina si può concludere che sia sempre utile formalizzare per iscritto eventuali incarichi di procacciamento d’affari. Naturalmente, e questo non si può sottolineare mai abbastanza, sul presupposto che si tratti di genuini contratti di procacciamento d’affari e non, invece, in veri e propri rapporti di agenzia dissimulati sotto le forme del procacciamento.

Cosa succede se il contratto di procacciamento non è stipulato per iscritto?

Dal punto di vista legale il contratto di procacciamento d’affari è attratto, per consolidato orientamento di Cassazione, alla disciplina della mediazione piuttosto che a quella dell’agenzia.

Ciò ha importantissimi riflessi in ordine alle conseguenze di una mancata formalizzazione per iscritto del contratto.

Primo, la mancanza del contratto non esclude minimamente il diritto alla provvigione.

La mediazione è infatti una fattispecie a-contrattuale. Gli effetti della fattispecie, tra cui il sorgere del diritto alla provvigione in capo al mediatore-procacciatore, sono ricollegati direttamente dalla legge al presupposto di fatto -la intermediazione dell’affare- piuttosto che ad un accordo tra le parti che potrebbe anche mancare.

Secondo, in caso di mancato accordo tra le parti la provvigione sarà determinata sulla base degli usi o dal giudice secondo equità.

Terzo, la provvigione sarà dovuta solo se ciò sia ammesso dal regime speciale di legge previsto per la mediazione. Va infatti ricordato che in tema di mediazione la legge subordina il diritto alla provvigione all’iscrizione all’albo dei mediatori.

Per dettagli su quest’ultimo punto potete consultare questa pagina.

Da queste premesse si rafforza la conclusione sopra raggiunta in merito alla convenienza della stipulazione scritta del contratto di procacciamento. Ciò perché, se è vero che la mancanza del contratto scritto non pregiudica il diritto alla provvigione, la mancanza della determinazione della provvigione espone entrambe le parti al rischio di dover pagare/ricevere la provvigione d’uso o quella decisa dal giudice, con le conseguenti incertezze e maggiori costi.

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