BLOG

06-11-2020

I COLLABORATORI A PARTITA IVA

I collaboratori a partita IVA sono lavoratori autonomi che collaborano con l’imprenditore.

Stabilire il giusto regime applicabile a questi contratti non è sempre facile, perché accanto alle collaborazioni genuine si trovano anche le false partite iva o partita iva mascherate, vale a dire quei rapporti di collaborazione che dietro lo schermo formale di un rapporto di lavoro autonomo nascondono la sostanza del lavoro subordinato dipendente.

E NORME DI RIFERIMENTO PER LE COLLABORAZIONI AUTONOME

L’ultima riforma in materia è intervenuta con il c.d. Jobs Act. Il D.lgs 81/2015 ha infatti abrogato la disciplina del contratto a progetto e quella delle collaborazioni a partita IVA di cui all’art. 69bis D.lgs 276/2003 cui era in precedenza affidato il contrasto alle false partite iva.

La norma di riferimento è l’art. 2 D.lgs 81/2015, che, dopo vari rimaneggiamenti intercorsi negli anni, nella versione attuale recita: “A far data dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuativa e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”.

L’interpretazione di questa disposizione ha originato un considerevole dibattito che, allo stato, può dirsi in via di consolidamento anche in forza della recente sentenza 1663 del 24 gennaio 2020 della Corte di Cassazione.

Allo stato, la norma va interpretata nel senso che debba essere esteso il regime normativo applicabile al lavoro subordinato anche ai rapporti di lavoro autonomo che rientrino nella fattispecie normativa di nuovo conio, vale a dire le c.d. collaborazioni etero-organizzate. Quelle cioè per cui “le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”.

Il punto oggi è proprio quello di distinguere tra le collaborazioni coordinate e continuative, per cui si applica il regime del lavoro autonomo e le collaborazioni etero-organizzate che, sebbene mantengano un inquadramento nel tipo del lavoro autonomo, saranno soggette alla disciplina normativa del lavoro subordinato in base all’estensione disposta dall’art. 2 D.lgs 81/2015.

Per esaminare i caratteri distintivi tra le due fattispecie, vanno innanzitutto richiamate le norme di riferimento:

l’art. 409 c.p.c., n. 3), che definisce le collaborazioni coordinate e continuative come: “i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.

L’art. 2, D.lgs 81/2015, che definisce le collaborazioni etero-organizzate come: "i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente".

Come si vede, il discrimine tra l’una e l’altra fattispecie risiede esattamente nel requisito dell’organizzazione del lavoro, che nel primo caso è (1) organizzato autonomamente dal collaboratore, mentre nel secondo caso è (2) organizzato dal committente.

COLLABORAZIONI AUTONOME ED ETERO-ORGANIZZAZIONE

Anche sul significato da attribuire al requisito dell’organizzazione si è riscontrato un amplio dibattito, con posizioni assai diverse.

Un primo punto va chiarito. Per poter dare un significato autonomo alla disposizione di cui all’art. 2, D.lgs. 81/2015 è necessario poter distinguere il potere organizzativo del committente dal potere direttivo del datore di lavoro. E’ infatti evidente che ove i due poteri fossero identificabili, le collaborazioni etero-organizzate non sarebbero distinguibili da quelle etero-dirette, sarebbero cioè entrambi rapporti di lavoro subordinato. Cosicché l’estensione alle collaborazioni etero-organizzate del regime del lavoro subordinato discenderebbe direttamente dall’appartenere queste ultime al tipo del lavoro subordinato e non già in virtù della norma di legge che, quindi, sarebbe una norma “apparente”. Proprio questa è stata infatti la prima interpretazione offerta dell’art. 2 D.lgs. 81/2015, con l’effetto di svuotare del tutto il contenuto precettivo della norma.

Tale radicale interpretazione non è stata accolta dalla giurisprudenza. Invero, la Corte di Cassazione, nella già richiamata sentenza 1663 del 24 gennaio 2020, ha riconosciuto la necessità di dare un valore autonomo al concetto di etero-organizzazione, affermando che: “i concetti giuridici, in specie se direttamente promananti dalle norme, sono convenzionali, per cui se il legislatore ne introduce di nuovi l’interprete non può che aggiornare l’esegesi a partire da essi”.

La Cassazione ha quindi enucleato il concetto di etero-organizzazione in questi termini: “elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione d’impresa. Il coordinamento nel caso della etero-organizzazione viene imposto dall’esterno, a differenza del coordinamento stabilito di comune accordo tra le parti”.

Sebbene così svolto, il concetto della etero-organizzazione appare ancora di difficile distinzione rispetto a quello della etero-direzione [1]. Come si vede, infatti, anche nella ricostruzione della Cassazione l’etero organizzazione appare costruita come un potere, tanto che l’accento è posto sulla unilateralità del suo esercizio.

In ogni caso, per fornire un orientamento operativo per la concreta distinzione tra la collaborazione coordinata e continuativa, cui si applica il regime del lavoro autonomo, e la collaborazione-etero organizzata, cui si applica il regime del lavoro subordinato, l’accento deve essere posto sulle modalità di coordinamento, se esse siano cioè “stabilite di comune accordo tra le parti” ovvero imposte unilateralmente dal committente.

Come si vede, ruolo centrale assumerà in questo caso il contratto, che dovrà specificare nel dettaglio le modalità di coordinamento al fine di scongiurare l’applicazione alla collaborazione autonoma del regime del lavoro subordinato.

Un ulteriore elemento accessorio, per quanto di natura piuttosto spuria, può essere desunto dalla più volte citata sentenza di Cassazione n. 1663 del 2020. In particolare, la corte così caratterizza l’art. 2, D.lgs. 81/2015 in tema di collaborazioni etero-organizzate: “si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione, ma considerati comunque meritevoli di una tutela omogenea.”

Appare dunque che il regime delle collaborazioni etero-organizzate, e quindi l’estensione del regime subordinato, possa non essere applicato per tutti quei casi in cui i compensi pattuiti escludano che il lavoratore versi in uno stato di debolezza economica.

Una ulteriore limitazione all’applicazione della normativa sul lavoro subordinata è fatta poi dal 2° comma dell’art. 2, D.lgs. 81/2015, che la esclude per i seguenti casi:

  1. collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
  2. collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
  3. attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
  4. alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
  5. collaborazioni prestate nell'ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367  (enti che operano nel settore musicale).
  6. collaborazioni degli operatori che prestano le attivita' di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74 (Corpo Soccorso Alpino e Speleologico).  

Il caso pratico di maggiore rilevanza è quello che attiene alle collaborazioni di professionisti iscritti in appositi albi o elenchi, come ingegneri, architetti, infermieri. Tali figure lavorano spesso per mezzo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che prevedono, in favore del committente, poteri di etero-organizzazione in ordine al tempo e luogo della prestazione ovvero, addirittura, risultano stabilmente inseriti nell’organizzazione del committente senza un contratto, fatturando di volta in volta le prestazioni rese.

Va subito chiarito che le collaborazioni del tipo descritto sono fuori dal campo di applicazione del regime del lavoro subordinato sulla base della mera etero-organizzazione, in forza del 2° comma dell’art. 2 D.lgs. 81/2015. Resta peraltro salva la possibilità della loro riqualificazione in termini di lavoro subordinato qualora sussista un’autentica etero-direzione, che però implica l'onere di una prova specifica a carico del collaboratore ricorrente.

[1] Invero, la dottrina [A. Perulli, Collaborazioni e subordinazione: come “orientarsi nel pensiero” DRL 2/2020, 267 e ss.] che ha più autorevolmente sostenuto la soluzione accolta dalla Cassazione ha proposto la distinzione tra il potere di etero-direzione rispetto al potere di etero-organizzazione nei termini che seguono: il potere di etero-organizzazione sarebbe limitato all’organizzazione della prestazione del lavoratore nel contesto produttivo, laddove il potere di etero-direzione sarebbe un autentico potere di determinazione del contenuto della prestazione di lavoro, concorrerebbe cioè alla specificazione del debito di lavoro che il lavoratore-debitore sarebbe tenuto a rendere in favore del datore-creditore. Se rispetto alla qualificazione del potere di etero-direzione non si ha nulla da obiettare, ci si permette di esprimere una qualche riserva sulla definizione del potere di etero-organizzazione. Invero tale potere, laddove consente la conformazione degli elementi per così dire “esteriori” della prestazione, quali il tempo ed il luogo della stessa, non appare qualitativamente difforme in alcun modo dal potere di etero-direzione, qualificato come potere di specificare il contenuto della prestazione di lavoro. Al riguardo la dottrina civile è pacifica: Il tempo e il luogo della prestazione sono autonome modalità della prestazione. Si tratta di modalità autonome in quanto costituiscono oggetto di appositi criteri di determinazione. Il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita ha poi una sua specifica rilevanza in quanto sospende di regola l’esigibilità, mentre la sua violazione dà luogo ad una forma d’inadempimento distintamente qualificata come ritardo. L’autonomo rilievo del tempo e del luogo non giustificano per altro una loro contrapposizione al contenuto della prestazione. Contenuto della prestazione è infatti ciò a cui il debitore è tenuto, e ciò a cui il debitore è tenuto non è un comportamento o un risultato astrattamente considerati, ma un comportamento o un risultato che si specificano anche in relazione al tempo e al luogo. Il tempo e il luogo sono quindi elementi della prestazione. [C.M. Bianca, Diritto Civile, IV, pag. 209 e ss.]. L’autonomia del concetto di etero-organizzazione appare dunque addirittura indebolita, se non del tutto annullata, dalla riforma che ha soppresso il riferimento al “tempo e luogo di lavoro” che era contenuto nella previgente versione dell’art. 2, D.lgs 81/2015. Infatti, essendo pacifico l’autonomo apprezzamento delle modalità della prestazione quali tempo e luogo, ben si sarebbe potuto costruire una differenziazione dell’etero-organizzazione dall’etero-direzione rispetto proprio a quelle due specifiche modalità della prestazione, in ciò avendo il chiaro supporto normativo. Una volta che il riferimento normativo al tempo e luogo sia caduto, la proposta differenziazione non è più possibile perché tempo e luogo, in quanto comunque appartenenti al contenuto della prestazione, non si distinguono né si possono distinguere -sulla base delle disposizioni di legge- dagli altri elementi della prestazione soggetti specificati per mezzo del potere di etero-direzione. <torna su

 

 

Tags: