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CONCILIAZIONE MONOCRATICA: SUGGERIMENTI OPERATIVI
Come noto questa procedura viene per lo più attivata a seguito di richiesta di intervento del lavoratore, che vanti o pretenda di vantare rivendicazioni di tipo economico nei confronti del datore di lavoro.
L’esempio tipico è quella del mancato pagamento di retribuzioni, straordinari, oppure -caso classico- il lavoratore che assuma di avere lavorato “in nero” per un certo periodo di tempo.
La procedura è semplice: convocate le parti, si giunge o meno ad un accordo conciliativo. In caso di esito positivo (con pagamento delle somme di meglio infra) si giunge alla chiusura dell’accertamento ispettivo; in caso invece di esito negativo (mancato accordo o mancata presentazione alla convocazione) viene dato corso all’accertamento ispettivo da parte della DTL competente territorialmente.
In questa sede ci occupiamo esclusivamente delle considerazioni pratico-operative che il lavoratore da un lato e il datore di lavoro dall’altro (o meglio, i loro consulenti) devono tenere presente nella gestione di questa procedura.
Cominciamo con il lavoratore. Abitualmente il lavoratore “attiva” la conciliazione monocratica mosso da un duplice intento: da un lato risparmiare tempo e costi rispetto ad una iniziativa giudiziale; da altro lato “costringere” il datore di lavoro a giungere ad un accordo, conscio quest’ultimo che -in caso di mancato accordo- penda su di sé la spada di Damocle dell’accertamento ispettivo (che può riguardare anche la verifica sulla regolarità di altri lavoratori, così come il rispetto delle norme in materia di sicurezza, lavoro, ecc.).
Tutto vero: tale valutazione va però equamente controbilanciata con una diversa considerazione. Come sà chiunque abbia partecipato a questa procedura, la DTL -nella persona del suo funzionario incaricato- è abitualmente mossa a far prevalere gli interessi degli istituti previdenziali. In buona sostanza, normalmente è più importante che gli istituti previdenziali ed assicurativi ricevano il pagamento dei loro contributi rispetto a quanto possa ricevere il lavoratore quale quota di “retribuzione”.
In questa prospettiva, valutata ovviamente anche la particolarità di ogni singola concreta posizione, potrebbe essere opportuno che il lavoratore (a mezzo del suo consulente) prima di ogni “iniziativa monocratica” faccia pervenire all’azienda una richiesta scritta delle proprie rivendicazioni.
Ciò potrebbe consentire al datore di lavoro una meditata preventiva valutazione sull’opportunità di una conciliazione stragiudiziale (tramite, ad esempio, una conciliazione in sede sindacale), con eventuale riconoscimento al lavoratore di un corrispettivo probabilmente più elevato rispetto a quello concordabile in via monocratica (dovendosi, in quest’ultimo caso, far necessario riferimento al pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi).
Passiamo alla posizione del datore di lavoro. Un consulente minimamente avveduto si presenterà alla data fissata per la conciliazione monocratica da solo e munito di semplice procura scritta a suo favore rilasciata dal datore di lavoro. Troppo spesso infatti la presenza personale del datore di lavoro in sede conciliativa (che, appunto, non è obbligatoria) si traduce -nella pratica- nella “capitolazione” di quest’ultimo, evidentemente impreparato ad affrontare le pressioni inesorabilmente scaturenti dal conciliatore della DTL.
La gestione dell’incontro conciliativo richiede al consulente un approccio pragmatico. Egli dovrà tenere ovviamente conto delle criticità di ogni singola situazione, evitando però al tempo stesso approcci già all’inizio “confessori”. Occorre infatti tenere presente come la conciliazione monocratica venga attivata proprio nei casi in cui la DTL si trovi a gestire una presunta “violazione” di cui abbia una cognizione solo sommaria e senza elementi certi di prova testimoniale e/o documentale (in caso contrario la DTL sarebbe obbligata a procedere agli accertamenti ispettivi). Altro elemento da tenere presente riguarda il fatto che in un futuro ed eventuale accesso ispettivo l’onere della prova in ordine a presunte violazioni in capo al datore di lavoro competerà comunque sempre e soltanto in capo all’organo accertatore.
Occorre poi adeguatamente valutare ciò che è possibile o meno inserire in un accordo conciliativo.
Non è possibile prevedere un importo c.d. “a saldo e stralcio”: ad esempio in un rapporto di lavoro non regolarizzato non si potrà riconoscere una somma a forfait, ma nell’accordo conciliativo bisognerà indicare il periodo di lavoro riconosciuto dalle parti e l’importo della retribuzione concordata (su cui bisognerà provvedere al pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi entro il 16 del mese successivo all’accordo).
E’ invece possibile -sempre stando all’esempio da ultimo citato- accordarsi su un periodo di lavoro inferiore a quello richiesto o su un orario inferiore a quello inizialmente dichiarato ed addirittura accordarsi su una retribuzione inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di riferimento (trattandosi di diritto disponibile), fermo restando il rispetto dei minimali di legge in relazione al pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi. E di intuitiva percezione come tutto ciò possa fornire ampi spazi di manovra in sede conciliativa.
Un ultimo aspetto merita menzione: la DTL non consente l’inserimento nella conciliazione di previsione di compensi a consulenti e/o avvocati, né tanto meno l’inserimento di declaratorie riguardo a rinunce a diritti del lavoratore. Ciò in quanto la conciliazione monocratica riguarda esclusivamente richieste aventi contenuto economico-patrimoniale derivanti dal rapporto di lavoro ed il mancato rispetto della normativa previdenziale ed assicurativa. Sarà quindi opportuno -sempre per stare all’ipotesi del lavoro non regolarizzato- effettuare una preventiva conciliazione (anche in sede sindacale) aventi ad oggetto tutte le rinunce del caso del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, risolutivamente condizionando detta conciliazione “preventiva” al mancato perfezionamento della conciliazione monocratica entro una data stabilita.
Avv. Francesco Valeri