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18-09-2020

Agenti: recesso per giusta causa della mandante, serve impugnare?

Quando la casa mandante recede dal contratto di agenzia invocando la giusta causa, l’agente rappresentante ha l’onere di impugnare il recesso. Considerato che tale impugnazione è presupposto necessario per domandare le indennità di cessazione del rapporto, la questione ha enorme rilevanza pratica.

Perché anche gli agenti devono impugnare il recesso?

Una specifica disposizione di legge impone questo onere all’agente che intenda contestare la causa del recesso come invocata dalla casa mandante. L’interpretazione della norma è peraltro attualmente al centro di un contrasto giurisprudenziale, con la conseguenza di aumentare i rischi a carico dell’agente.

In particolare, secondo la pessima abitudine del legislatore italiano di costruire le leggi a scatole cinesi, L’art. 32 del Legge 183 del 2010 (Collegato Lavoro) dispone, al comma 3, lettera b) che le disposizioni sull’impugnativa del licenziamento (art. 6, Legge 604 del 1966) si applichino anche: “al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile”. In sostanza, l’onere di impugnare il recesso entro 60 giorni dalla sua comunicazione si applica, oltre che ai rapporti di lavoro subordinato, anche ai “rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

Peraltro, tali disposizioni di legge, sebbene apparentemente chiare nell’includere i rapporti di agenzia tra i rapporti sottoposti all’onere di impugnazione, non sono state interpretate in questo senso dalla giurisprudenza di merito.

Il primo orientamento ha infatti escluso che gli agenti e rappresentanti fossero tenuti a impugnare il recesso. E ciò, da un lato, facendo leva su alcuni elementi testuali della normativa in esame e, dall’altro, richiamando il principio generale del divieto di interpretazione analogica ed estensiva delle norme in materia di decadenza. Si segnalano al riguardo le seguenti sentenze di merito: Trib. Torino, 30 dicembre 2015 (RIDL, 2016, II, nt. GIACONI); Trib. Genova, 9 maggio 2016, n. 397, Trib. La Spezia, 12 giugno 2019, n. 257.

Accanto al primo è però emerso un secondo orientamento contrario, in particolare si segnala Trib. Napoli, 13 novembre 2015, n. 9107, confermata da Corte d’Appello di Napoli, 14 gennaio 2020, n. 10 (RIDL, 2020, II. Nt. ABBASCIANO). Queste pronunce hanno affermato che l’agente che ometta l’impugnazione del recesso non potrà più contestarlo in giudizio, essendo incorso nella relativa decadenza, con la conseguenza di vedere respinta la domanda alle indennità di cessazione, proposta affermando l’insussistenza della giusta causa nel recesso della casa mandante. Le argomentazioni dei giudici napoletani sono sostanzialmente di ordine letterale e consistono nell’affermare che le norme in commento si riferiscano apertamente e pianamente anche ai rapporti di agenzia, con la conseguenza che anche questi sarebbero soggetti all’onere di impugnazione del recesso.

Quando si ha recesso per giusta causa?

Tecnicamente si ha recesso per giusta causa quando la casa mandante recede dal contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, che, per la sua gravità, non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto. Si tratta di ipotesi quali, ad esempio: violazione del divieto di concorrenza, mancata rimessa degli incassi, appropriazione indebita di merce in custodia, sottrazione illecita di dati aziendali.  Peraltro, in considerazione del fatto che il recesso per giusta causa solleva la casa mandante dall’obbligo di corrispondere all’agente le indennità di cessazione del contratto (indennità suppletiva di clientela e meritocratica o, in alternativa, l’indennità di cui all’art. 1751 c.c.), talvolta la “giusta causa” può essere più apparente che reale, e l’agente ha quindi interesse a contestare il fatto in giudizio, al fine di fare accertare la mancanza della giusta causa nel recesso della casa mandante, con la conseguenza di vedersi riconosciute tutte le indennità di cessazione del rapporto.  

Come si fa l’impugnazione?

Considerate le gravi conseguenze che la mancata impugnazione del recesso può comportare a carico dell’agente che intenda domandare le indennità di cessazione del rapporto, in via prudenziale questi dovrà sempre notificare alla casa mandate l’impugnazione.

Rispetto alle modalità pratiche con cui fare l’impugnazione si può fare utile riferimento alle norme dettate in tema di licenziamento, per cui sarà sufficiente un qualsiasi atto scritto, indirizzato alla controparte, in cui si manifesti esplicitamente la volontà di impugnare e contestare il recesso. Il termine entro cui procedere è di giorni 60 dalla comunicazione del recesso. Ovviamente è necessario procedere con mezzi che consentano di fornire la prova dell’avvenuta tempestiva impugnazione e, quindi, raccomandata con ricevuta di ritorno o messaggio di posta elettronica certificata, purché contenente una sottoscrizione autografa dell’autore – eventualmente anche scansionata. In caso di impugnazione fatta dal procuratore, sarà necessario allegare la procura.

Tutti gli agenti devono impugnare il recesso?

No. Saranno soggetti all’onere di impugnazione solo gli agenti che esercitino secondo il tipo della “prestazione d’opera prevalentemente personale”. Per cui sono esclusi tutti gli agenti costituiti in forma societaria e quelli che, pur operando in forma individuale, possano essere considerati imprenditori invece che lavoratori autonomi e, quindi, gli agenti che si avvalgano di dipendenti, subagenti o che abbiano ingenti mezzi strumentali, quali depositi, magazzini e simili.

Quali sono le conseguenze di una mancata impugnazione?

Sebbene, come visto, la questione si ancora controversa, volendo fare applicazione della interpretazione più restrittiva, la mancata impugnazione del recesso per giusta causa comporta la decadenza dall’azione giudiziale per la contestazione del recesso, che risulterà quindi consolidato. Conseguenza di tale consolidamento sarà l’impossibilità per il giudice di accertare l’eventuale carenza della giusta causa del recesso, impendendogli così di condannare la casa mandante a pagare all’agente le indennità di cessazione; condanna che è appunto esclusa quando “il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto”.

 

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