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Agenti: incarico di riscossione e indennità di incasso
Accade frequentemente che il contratto di agenzia escluda l’incarico di riscossione in capo all’agente, ma poi quest’ultimo, nel corso dello svolgimento del rapporto, lo svolga di fatto o venga successivamente incaricato dalla mandante di provvedere all’attività di incasso nei confronti dei propri clienti.
In questi casi l’agente ha diritto o meno ad un compenso?
La risposta è positiva, ma con le dovute precisazioni.
Prima di tutto l’esistenza di una contraria pattuizione non esclude il diritto al compenso. Infatti ben può accadere che le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, possano successivamente mutare proposito anche attraverso un comportamento concludente e cioè una condotta che complessivamente considerata deponga a favore del riconoscimento di un’effettiva attribuzione all’agente di un incarico per l’incasso.
Ciò è possibile perché la giurisprudenza non ritiene l’attività di incasso elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma piuttosto prestazione accessoria ed ulteriore rispetto all’originario contratto.
Escluso quindi che l’esistenza nel contratto di agenzia di un divieto all’incasso precluda il diritto dell’agente di richiedere un compenso in relazione all’attività, nella realtà, effettivamente svolta, la questione si sposta sul versante della prova.
In estrema sintesi (tenuto anche conto delle previsioni degli AEC Commercio e Industria) si può dire che l’agente ha l’onere di provare le seguenti circostanze: a) lo svolgimento continuativo dell’attività di incasso per conto della casa mandante; b) che l’attività di incasso comporti una responsabilità contabile da parte dell’agente; c) e che tale attività di incasso non si riferisca al mero recupero degli insoluti.
La prova di tali circostanze può essere fornita dall’agente con qualsiasi mezzo, e quindi non solo attraverso una prova scritta, ma anche attraverso testimoni ed elementi presuntivi.
a) Per lo svolgimento continuativo dell’attività di incasso è sicuramente opportuno che l’agente conservi quanta più documentazione scritta possibile (copia delle distinte di incasso, copia dei titoli incassati, copia delega bancaria ecc). Peraltro ciò non sarà necessariamente sufficiente per provare la continuità dell’attività di incasso. È più credibile che questa prova possa essere fornita specie raffrontando il montante globale del fatturato aziendale generato dall’agente in corso di rapporto con il montante delle ricevute di pagamento frutto dell’attività di incasso dell’agente. Laddove, fatto questo raffronto documentale, risulti che le somme incassate dall’agente riguardino un numero consistente di affari, non si potrà certo dubitare sulla continuità dell’attività di incasso dell’agente.
b) riguardo alla responsabilità contabile, questa potrà desumersi principalmente dalla dimostrazione concreta (e principalmente documentale) che la casa mandante abbia -in corso di rapporto- contestato all’agente un episodio di responsabilità per l’attività di incasso da lui svolta (oppure che tale responsabilità sia stata dichiarata dalla casa mandante a mero titolo teorico in qualche comunicazione scritta tra le parti).
c) L’attività di incasso non deve poi riguardare il mero recupero degli insoluti (intendendosi per tali le rimesse non effettuate dai clienti a favore della preponente alle scadenze risultanti dalle fatture). In questo caso il servizio di recupero credito verrebbe difatti effettuato dall’agente anche nel suo interesse.
In assenza della prova dei tre requisiti sopra indicati, potrà residuare a favore dell’agente esclusivamente l’azione di ingiustificato arricchimento a favore della casa mandante ex art. 2041 cod. civ.; in buona sostanza l’agente avrà il non facile onere probatorio di dimostrare in giudizio come la casa mandante si sia indebitamente avvantaggiata dell’attività di incasso svolta dall’agente.